Social street: dal “social†al sociale
Le nuove relazioni metropolitane tra il virtuale e il reale
Come evidenziato dai dati dell’Osservatorio sulle Social Street - dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica - presentati in occasione del Forum delle Social Street tenutosi a Milano pochi giorni fa, nelle realtà metropolitane assistiamo a fenomeni collettivi nuovi e di rottura rispetto alle dinamiche che hanno caratterizzato gli ultimi decenni.
È appunto il caso delle Social Street, modalità spontanea di aggregazione, nata dalla rete grazie a Facebook, che si concretizza nel contesto reale più prossimo: la comunità dei vicini di strada o di quartiere.
Secondo la sociologa Pasqualini, responsabile dell’Osservatorio, le finalità dei gruppi spontanei di Social Street sono puramente sociali: “obiettivo primario è quello di socializzare con persone del vicinato per venire incontro a singole necessità quotidiane, aiuto concreto, condivisione di attività, scambio di pareriâ€.
L’idea è nata a Bologna nel 2013 quando Federico Bastiani, per cercare compagni di gioco per il figlio di tre anni, ha fondato su Facebook il gruppo “Residenti di via Fondazzaâ€. Ha avuto un enorme successo e va diffondendosi a macchia d’olio nel nostro paese, la sola città di Milano conta oltre 70 Social Street, con circa 30.000 iscritti.
Le Social Street si caratterizzano per l’utilizzo di Facebook quale facilitatore del passaggio dal virtuale al reale. I criteri guida sono: la territorialità come fattore di appartenenza e aggregazione, l’assoluta gratuità e spontaneità nelle relazioni. Non meno importante l’aspetto dell’inclusione, vale a dire l’impegno a cercare ciò che unisce anziché ciò che divide con modalità propositive e costruttive di rapporto. Non è di conseguenza consentito fare pubblicità, propaganda politica o proselitismo religioso.
Principale finalità delle Social Street è quindi ricreare la socialità e la partecipazione in contesti urbani sempre più impoveriti in termini di relazioni umane. Rappresentano il recupero di modelli tutt’ora esistenti nelle comunità di piccole e medie dimensioni e un tempo tipici anche del tessuto urbano, basti pensare alle case di ringhiera o ai cortili milanesi delle scorse generazioni.
Questo fenomeno esprime una forma innovativa di cittadinanza attiva e l’esperienza italiana rappresenta, per il resto del mondo, un vero e proprio modello a cui guardare e da cui trarre ispirazione.